Rasum Barbi-Gi-Chang è da decenni il custode del tempio di Confucio a Qufu. Profilo piatto, mascella quadrata, testa calva, faccia glabra e impassibile, da decenni comanda con la sola forza di uno sguardo o di una sillaba le schiere di incaricati alla pulizia delle quattrocentosessanta stanze del tempio. Barbi-Gi-Chang non sposta più niente, non muove i tatami, non tocca nemmeno più i papiri dove venivano registrati tutti i notabili e gli imperatori venuti a rendere omaggio al grande maestro. Le sue braccia sono sempre conserte, le mani infilate nelle maniche della tunica. Anche in caso di emergenza o pericolo, come la caduta di un vaso o l'intrusione di ladri a caccia di reliquie, i calci sono l'unico, e sempre efficace, rimedio.
Barbi-Gi-Chang non è sempre stato così. Durante i primi anni di apprendistato non c'era custode più appassionato e zelante di lui. Di ognuna delle quattrocentosessanta stanze conosceva a memoria storia, composizione, problematiche, temperature stagionali e funzione dalla creazione ad oggi. Di ogni mobile conosceva l'esatta combinazione di acqua, olio o sapone per poter cancellare i secoli e riportarlo allo splendore originale. Lavorava tantissimo, dormiva pochissimo e con molta difficoltà lasciava agli altri compiti anche banali. Non aveva una vita privata, non aveva legami. Tutto il suo mondo era in quelle stanze. A chi gli domandava se aveva moglie o figli o genitori rispondeva: "Il mio cuore viene riscaldato dall'affetto del maestro, i consigli che potrebbero darmi i miei cari me li offre Confucio, di chi altri potrei aver bisogno, quando ho il meglio?". Per non parlare della sua vita sessuale. C'era chi sosteneva che fosse ancora vergine all'inizio dell'apprendistato e sicuramente da quando è entrato al Tempio, la sua vita è diventata più casta di quella di un monaco. Certo, non mancava di gettare sguardi prolungati sulle forme di alcune servette intente a strofinare tavolini o spolverare candelabri ma al solo accorgersene arrossiva, usciva dalla stanza e raddoppiava la lena nel pulire la stanza successiva. Sosteneva che solo col suo esempio gli altri avrebbero compreso e accettato la sua autorevolezza. Così quando anche loro si fossero comportati un minimo come lui il Tempio sarebbe stato il posto più bello di tutta la Cina e di conseguenza, secondo la logica stringente di Barbi-Gi-Chang (e di miliardi di cinesi), del mondo. Solo di un'altra cosa era fiero, quasi - i maligni dicono di più -, di come portava avanti la gestione del Tempio: i suoi baffi.
I baffi di Barbi-Gi-Chang erano gli stessi da quando era nato. Mai tagliati, ritoccati o accorciati: lunghissimi. Come i capelli di una donna, erano lucidi, forti, neri con riflessi naturali bluastri. E quando parlava non cessava un momento di lisciarli e coccolarli. Anche quando meditava. Anche quando pensava a cosa doveva fare. Anche mentre era sulla tazza del bagno - sempre secondo i maligni.
Poi una notte che non riusciva ad addormentarsi, prendendo un papiro dalla biblioteca privata del Maestro, il custode vide sgusciare fuori dal fondo del rotolo un foglio rattrappito e spiegazzato. Lo raccolse da terra, maledicendo il bibliotecario Sa-Pu-Teng, lavativo e raccomandato, poi lo aprì. Era una mappa del tempio.Una mappa risalente al regno di Yangdi (605-617), epoca a cui risale il lavoro di ampliamento da casa del gran maestro a Tempio. Un particolare stupì il nostro alacre custode. La mappa indicava con precisione che le vere stanze, ne contava tre, dove effettivamente visse il maestro, sono state abbattute per fare spazio al progetto voluto dall'imperatore. Quindi Barbi-Gi-Chang stava sorvegliando e tutelando la volontà degli imperatori, non del suo grande padre spirituale. Sconvolto, i baffi in preda a scariche di elettricità statica, cercò a chi chiedere consiglio, a chi confessare questa novità, ma non c'era nessuno, né ci sarebbe mai stato nessuno a cui chiedere di cui si sarebbe fidato. Un lampo, un'intuizione. Se lui, così devoto al maestro, si fosse recato a meditare fuori dal palazzo, nello stesso punto dove la mappa indicava la vera casa, forse il Maestro gli avrebbe parlato. Inquieto ma disposto a tutto pur di risolvere il proprio dilemma, il custode uscì dalle mura di cinta del tempio.
Era da quando aveva tredici anni che non vedeva il buio fuori dal Tempio. Una brezza lieve sembrava spingerlo avanti mentre la luna, alta e piena, guidava i suoi passi. Per un attimo l'idea che non ci fosse niente a proteggerlo dalla superficie piatta lo fece rabbrividire. Subito pensò alla grande muraglia e riuscì a scacciare questo piccolo attacco di agorafobia. Svoltato l'angolo a sinistra e percorsi alcuni passi, stando alla mappa si sarebbe ritrovato nella sala d'ingresso del suo grande nume tutelare. Un prato rasato corto e un Gingko Biloba con le sue foglioline verdi e gialle, piccoli ventagli che salutano la rugiada, sono ora i nuovi abitanti delle stanze del Grande Saggio. Il custode si avvicina al Gingko, ne accarezza alcune foglie, con gentilezza le stacca e se le mette in bocca. Mastica mentre continua a lisciarsi i baffi. Incrocia le gambe e si siede. Comincia un esercizio di meditazione ma proprio non riesce a seguirlo. La mente torna sempre alla scoperta della sera: "Perché non hanno scelto di tenere la casa come cuore del palazzo? Creare il tempio fuori dalla sua casa, costruendolo accanto non è forse falsarne la memoria? E io, cosa devo fare adesso? Devo farlo sapere? Devo dirlo a qualcuno? A chi?". La sua mente non era mai stata così confusa mentre i suoi baffi, ormai unti dalle mani sudate, mai così lucidi.
All'improvviso, senza rumore, il Grande Maestro gli comparve davanti, circondato da una luce forte bianca.
Il custode, allibito, cercò di rivolgergli la parola:
- Grande Maestro, quanto siete...luminoso!
Il Grande Maestro sorrise e senza muovere la bocca si udirono queste parole:
- Le stelle sono buchi nel cielo da cui filtra la luce dell'infinito.
- Grande maestro che tutto vegli e tutto sai, sono Barbi-Gi-Chang, il suo umile servitore e fedele custode in questi tempi di disgrazia e oblio. Sono giunto qui, nei luoghi dove, O Grande Maestro, avete passato la vostra esistenza terrena e mi chiedo cosa fare ora che so che la sua vera dimora è fuori da questo Tempio.
- Non voglio aver nulla a che vedere con chi non si chiede: come fare, come fare? ma Sapere ciò che è giusto e non farlo è la peggiore vigliaccheria.
Il custode sbiancò: - Ma, la vostra casa, è qui, fuori dal Tempio e io cosa posso farci Maestro!
- Non v'ha dubbio che i discendenti non facciano all'occorrenza ciò che avran veduto fare da quelli che li avranno preceduti. Gli onori che renderete a coloro cui succedeste sopra la terra, vi saranno resi da quelli che succederanno a voi.
- Ma che succede se gli altri lo vengono a scoprire?
- Non è grave se gli uomini non ti conoscono, è grave se tu non li conosci.
- Voi, Maestro mio, purtroppo non li conoscete, di questa cosa faranno un putiferio...
- L'uomo superbo si pone sopra gli altri, e crede che gli si debba ogni cosa; gli altri, per lo contrario, lo mettono nell'ultimo grado, né gli concedono nulla. E anche ora vedo che non esiste davvero un uomo che vedendo i propri errori ne sappia dare colpa a se stesso.
- No Maestro, ma cosa dite, io stavo solo cercando di aiutarvi...
- Aiutarmi lasciando vuota e incustodita la mia vera casa? Tu non stai facendo il mio bene, tu stai seguendo la tua vanità e la tua arroganza. Quante volte dal tuo cuore ho sentito la superbia errare come il drago nelle strade addobbate a festa. E ora arrivi perfino a dimenticare il giuramento che hai fatto a me e a tutti noi, che viviamo oltre il vostro mondo. Vattene! Torna dentro le mura e non toccare più niente, farò in modo che tu non possa più uscire dal Tempio.
Così dicendo il Grande Maestro prese a brillare sempre più intensamente. Barbi-Gi-Chang non riusciva più a scorgerlo da dentro quel bagliore. La luce divenne così forte che dovette ripararsi il viso con le mani. Il bianco era ovunque. Con le mani il custode premeva sempre più forte sugli occhi, spaventato dall'idea di poter perdere la vista. Per un attimo sentì un soffio sul viso passargli attraverso le mani. Poi la luce prese a diminuire. Ci vollero parecchi minuti prima che gli occhi di Barbi-Gi-Chang riprendessero a vedere qualcosa. Intanto, a memoria, anche se con molta cautela, era riuscito a rientrare al Tempio. Il percorso era brevissimo e altre ramanzine ultraterrene non ne voleva più.
In fretta tornò nel suo alloggio, sperando di non esser visto da nessuno. Al riparo, da solo, cercò di ragionare su quale fosse stato il suo sbaglio e allungò indice e pollice divaricati verso la zona tra naso e labbro superiore, sede dei suoi amati baffi. Che non c'erano più. Eppure un rumore di peli e di strofinio era stato avvertito ma non dove doveva essere. Ritoccò il viso. Liscio come un bambino. Strinse le mani e rabbrividì. Con un calcio accese l'interruttore della stanza. Si diresse con le palme delle mani rivolte verso lo specchio. Eccoli i suoi baffi meravigliosi. Dove sarebbero sempre stati. Attaccati a quelle mani che mai nessuno potrà mai più vedere.
Dicono che Barbi-Gi-Chang ORA attenda le notti di luna piena per uscire dal tempio e andare a caccia e sculacciare con i suoi baffi-frusta le giovani pienotte e procaci del paese, colpevoli a suo dire, di essere delle viziose poiché "Parlare lungo la via di quanto si è udito per strada significa gettare la virtù." - ma questa, forse, è un'altra storia.
Qui ho visto per la prima volta il profilo di Barbi-Gi-Chang e i suoi baffi volanti.
Carlo Dulinizo | http://precipitatoilleso.blogspot.it/
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